Mauriac e gli idioti ( e la « reprimenda » contro Mons.Domenico Celada - 1969 )

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Message  Javier Lun 09 Mar 2020, 6:57 pm

Mauriac e gli idioti ( e la « reprimenda » contro Mons.Domenico Celada - 1969 )


Da “ Il Tempo di Roma” del 20 febbraio 1969 ( sembra di ieri ) postiamo l' articolo del M° Mons. Domenico Celada ( * ) che purtroppo dopo 44 anni conserva ancora la sua attualità.


Mauriac e gli idioti

Ricordo di aver scritto, nel numero dell’aprile-giugno 1966 di una rivista musicale, una nota sulla liturgia dopo il Concilio Vaticano II.

Erano quelli i mesi nei quali andava delineandosi, in tutta la sua tragica portata, il piano demolitore di certi « liturgisti », giunti a proporre quelle cosiddette « messe dei giovani » (accompagnate da orchestrine da balera) che rappresentano — pur prescindendo da qualsiasi considerazione di carattere religioso — il trionfo dell'ignoranza e della stupidità.

Scrivevo allora: « La sacra liturgia attraversa un periodo di grande crisi, forse il più doloroso della sua storia. Mai si vide tanta decadenza e confusione: si stava veramente toccando il fondo... ».

In tale occasione mi pervennero messaggi di consenso e di lode, lo posso ben dire, da ogni parte del mondo cattolico: erano lettere di semplici fedeli, di molti sacerdoti e parroci, perfino di vescovi e cardinali.

Tuttavia, per essere sincero, debbo dire che mi giunse anche una forte « reprimenda » da parte di quell'ufficio ecclesiastico incaricato della cosiddetta riforma liturgica, ufficio noto col nome di « Consilium », sul quale esiste ormai una vastisima letteratura non certo benevola.


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http://traditiocatholica.blogspot.com/2013/09/mauriac-e-gli-idioti-e-la-reprimenda-di.html
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Message  Javier Ven 13 Mar 2020, 6:19 am

L'estensore della « reprimenda » (redatta su carta intestata, con tanto di stemma e numero di protocollo) cominciava col mostrarsi scandalizzatissimo per la mia diagnosi di « crisi » della liturgia, e replicava che, viceversa, « la liturgia attraversa oggi uno dei periodi più fiorenti e più promettenti »; dopodiché sentenziava che i miei rilievi erano di una « falsità supina », e che tutto lo scritto rappresentava una « insinuazione offensiva » e una « valutazione soggettiva ed errata ».


La mia era, per giunta, una « prosa sconcertante, sfrontata, offensiva e audace ».

Emersi a stento, anche se del tutto incolume, da quella frana di aggettivi, raggruppati a quaterne, sotto la quale sarei potuto rimanere soffocato.
Da allora non sono trascorsi neppure tre anni.

Una ventina di giorni fa, apro l'Osservatore romano e trovo un articolo di sette colonne (un'intera pagina del quotidiano della Santa Sede) intitolata Storia della Chiesa e crisi della Chiesa.


In esso l'insigne storiografo Hubert Jedin scrive testualmente:

« C'è innanzitutto, visibile per tutti, la crisi liturgica.  Io non vorrei parlare di caos. Ma quando oggi, di domenica mattina, si fa il giro delle chiese parrocchiali di una città, si trova in ciascuna un servizio divino "organizzato" differentemente; ci si imbatte in omissioni; si odono talvolta letture diverse da quelle previste finora dall'ordinamento delle pericopi; se poi ci si viene a trovare in un altro Paese di cui non si conosce la lingua, ci si sente affatto estranei... ».


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Message  Javier Mer 18 Mar 2020, 10:14 am

Mi sembra importante notare come Hubert Jedin, nella sua chiara diagnosi dell'attuale situazione della Chiesa, menzioni « innanzitutto » — ancor prima della crisi della fede — appunto la crisi liturgica, ormai «visibile per tutti».

Considerata l'autorità dello scrittore e quella del giornale vaticano, che non ospita mai un articolo se non dopo il più rigoroso controllo, bisogna concludere che oggi la crisi della liturgia è un dato di fatto incontestabile, e che è lecito parlarne e scriverne senza il timore di vedersi recapitare missive piene di aggettivi poco lusinghieri.

D'altra parte, in tre anni sono successe molte cose: la Congregazione dei Riti è stata costretta a intervenire contro i molti esperimenti arbitrari con una « dichiarazione » del 29 dicembre 1966 (rimasta peraltro lettera morta) ( * vedi nota in basso ), e lo stesso Pontefice, nella famosa allocuzione del 19 aprile 1967, ha espresso il suo dolore e la sua apprensione per quanto accade in campo liturgico, sottolineando il « turbamento dei buoni fedeli » e denunciando una certa mentalità tesa alla « demolizione dell'autentico culto cattolico », implicante altresì « sovvertimenti dottrinali e disciplinari ».


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Message  Javier Mer 25 Mar 2020, 11:03 am

Ma interessante è soprattutto il paragone che lo studioso stabilisce fra la crisi attraversata dalla Chiesa nel XVI secolo e quella del tempo presente.

Come superò tale crisi la Chiesa?

Risponde Jedin: «Non rinunciando alla sua autorità, né accettando formule equivoche di compromesso, né accogliendo il caos liturgico creato da innovazioni arbitrarie nel servizio divino ».

E' verissimo.

Se i decreti tridentini ristabilirono la sicurezza della fede, il messale e il breviario di San Pio V unificarono ancor più la liturgia.

Non bisogna infatti dimenticare che la « lex orandi », secondo l'antico detto, è anche «lex credendi»: la legge della fede. (Appare quindi logico che all'odierna « licentia orandi » corrisponda una « licentia credendi »).

Scrive ancora Hubert Jedin: « Temo che fra non molto in qualche luogo non si troverà più addirittura un messale latino... ».


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Message  Javier Mer 01 Avr 2020, 9:13 am

Eppure — ricorda lo studioso Hubert Jedin — « la stessa Costituzione liturgica (art. 36) mantiene come regola, alla stessa guisa di prima, la liturgia latina.

Non sarebbe un non senso che la Chiesa cattolica nel nostro secolo, nel secolo dell'unificazione del mondo, rinunciasse completamente ad un così prezioso vincolo di unità, come è la lingua liturgica latina?

Non sarebbe uno scivolare molto tardivo in un nazionalismo già ritenuto sorpassato?... ».



Si tratta di domande puramente retoriche, in quanto l'inspiegabile rinuncia è già praticamente avvenuta « in fraudem legis »: contro l'obbligatorietà di una legge conciliare che chiaramente prescrive di conservare l'uso del latino, e contro il diritto dei fedeli cattolici al godimento di un bene comune.


Ora, spezzata l'unità della lingua e distrutta l'identità dei riti, il caos si è esteso dal campo liturgico a quello dottrinale.


Già nell'aprile 1967, Paolo VI cominciava a lamentare « qualche cosa di molto strano e doloroso », e precisamente l'« alterazione del senso della fede unica e genuina ».


Era la conseguenza — di una logica perfetta e inesorabile — della manomissione del grandioso edificio della Liturgia, ossia dell'aver tradotto, mutilato e sostituito testi e formule che rappresentavano una « summa » di pietà e di dottrina.


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Message  Javier Jeu 09 Avr 2020, 9:35 am

Si comprende oggi più che mai la verità dell'insegnamento di Pio XII nell'enciclica « Mediator Dei »: « L'uso della lingua latina è un chiaro e nobile segno di unità, e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina ».

La crisi della liturgia è ormai « visibile per tutti ».

Molti inganni sono stati scoperti.

Nonostante ciò, gli innovatori continuano a lavorare, con l'affanno proprio di chi non è sicuro di se stesso, per manomettere, stravolgere e demolire quel poco che resta. (E' recente un convegno di liturgisti per dissertare intorno a « nuove preci eucaristiche » e ad un nuovo « ordo Missae »...).


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